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AVVISO DI ACCERTAMENTO OPERAZIONI INESISTENTI: SU CHI RICADE L'ONERE DELLA PROVA?

17/02/2022


Con una recente Ordinanza, la Suprema Corte (12.10.2021, n. 27745) è tornata a pronunciarsi in tema di onere della prova per le operazioni soggettivamente inesistenti.

Nello specifico, la Cassazione - come dalla medesima già chiarito in altra occasione (Cass. n. 27566 del 2018) e in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14) – ha ribadito che in materia di IVA ricade sull’Amministrazione finanziaria, intenzionata a dimostrare che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti (inserite o meno nell’ambito di una frode carosello) l’onere di provare “non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta”.

Ammettere una “presunzione oggettiva” in tal senso – prosegue la Corte - sarebbe infatti incompatibile con alcuni dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico, quali “il possesso di buona fede vale titolo” “la legge di circolazione dei titoli di credito”, entrambi volti a favorire gli scambi senza che l’acquirente sia tenuto ad approfondire in maniera eccessiva la provenienza di ciò che acquista.

In linea generale, spetta dunque all’Amministrazione che contesta il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione I’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, fornire la prova che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene od il servizio, “sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode”.

Ad ogni caso, ricorda la Cassazione, tale dimostrazione può essere fornita anche a mezzo presunzioni - come e prevede il espressamente D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 comma 2 - valorizzando, a titolo esemplificativo, elementi sintomatici quali “la mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione” (Cass. n. 5339 del 2020)

Ma laddove si pervenisse alla conclusione di ritenere sufficienti “pochi indizi, non gravi, non precisi e non concordanti” perché possa integrarsi la presunzione semplice di conoscenza o conoscibilità della frode, ciò finirebbe per andare a discapito dei traffici commerciali e quindi dell’economia in generale, dal momento che “gli imprenditori sarebbero eccessivamente timorosi e potrebbero essere indotti a non rischiare, decidendo di non concludere molti affari”.

Nel caso di seguito analizzato, ad avviso della Cassazione, i giudici di secondo grado avrebbero ben fatto applicazione di detti principi, e ciò nella misura in cui era stata fornita analitica dimostrazione che non vi fossero elementi oggettivi specifici “tali da poter presumere che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (…)”.

Nel dettaglio:

Il caso in esame ha visto l’Agenzia delle Entrate ricorrere in Cassazione avvero la pronuncia della C.T.R., la quale aveva confermato quanto già statuito dai giudici di primo grado.

Più nel dettaglio, la C.T.P. aveva accolto il ricorso avanzato da un contribuente avverso un avviso di accertamento relativo ad IVA per l’anno d’imposta 2013, avente ad oggetto delle operazioni ritenute soggettivamente inesistenti, e in particolar modo la partecipazione della contribuente ad una frode.

A sua volta, la C.T.R. aveva sostenuto che in una simile ipotesi una prova dell’esistenza del dolo o della colpa, sia pure offerta a mezzo di presunzioni non potesse essere sostituita con l’assunzione di una responsabilità oggettiva.

Ricorrendo in Cassazione l’Agenzia ha eccepito:

  • in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per mera apparenza della motivazione e violazione dell’art. 111 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, art. 36, comma 2, e artt. 53 e 54, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per essere la motivazione apparente e generica;
  • in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, nonché degli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., per aver fatto mal governo dei principi in tema di ripartizione degli oneri probatori in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti.

Alla luce dei principi sopraenunciati, la Corte di Cassazione ha ritenuto i motivi infondati, ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese.

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