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SPESE DI RAPPRESENTANZA E SPESE DI PUBBLICITA': QUALE DIFFERENZA?

14/03/2022


Con una recente ordinanza, depositata il 25 febbraio scorso, la Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. V, Ord., 25/02/2022, n. 6386) ha avvallato il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui “In tema di determinazione dei redditi di impresa, costituiscono spese di sponsorizzazione quelle correlate ad iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilità di sviluppo, mentre sono classificabili quali spese pubblicitarie o di propaganda quelle sostenute per la realizzazione di iniziative volte alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta**, con la conseguenza che solo le prime, in quanto costituenti spese di rappresentanza, sono deducibili ai sensi e nei limiti previsti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74 (ora art. 108), comma 2, (…)(Cass. n. 1922/2019, Cass. n. 25021/2018).

Ancora più recentemente, in una controversia in materia di tributi armonizzati, è stato enunciato il principio valevole anche per le imposte dirette, per il quale “In tema di IVA, ai fini della deduzione dei costi, il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della impresa senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, se non in via mediata e indiretta attraverso il conseguente aumento della sua notorietà e immagine, mentre le seconde hanno una diretta finalità promozionale di prodotti e servizi commercializzati, mediante l’informazione ai consumatori circa l’esistenza di tali beni e servizi, unitamente all’evidenziazione e all’esaltazione delle loro caratteristiche e dell’idoneità a soddisfarne i bisogni, in modo da incrementare le relative vendite.” (Cass., n. 10440/2021).

 IL CASO

Il caso in esame ha visto una S.p.a. ricorrere in Cassazione avverso la sentenza con la quale la CTR dell’Abruzzo (sezione staccata di Pescara) aveva rigettato l’appello della contribuente e parzialmente accolto l’appello dell’A.F. contro la decisione della CTP di Chieti la quale, a sua volta, aveva parzialmente accolto il ricorso introduttivo della società contro l’avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA per il 2008, fondato sul recupero a tassazione di costi indeducibili per difetto d’inerenza.

In particolare, la CTR - per quanto attiene ai profili di interesse in tale trattazione – rigettando l’appello incidentale dell’Ufficio, aveva confermato la sentenza impugnata con riferimento alle spese per sponsorizzazione, ritenendole effettivamente sostenute nonché inerenti all’attività sociale.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale (“Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 108, comma 2, e art. 109 nonché dell’art. 2697 c.c.: con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia ha censurato la sentenza impugnata che ha riconosciuto la deducibilità dei costi di sponsorizzazione benché la contribuente, cui spettava il relativo onere, non aveva in realtà dimostrato l’inerenza di tali spese all’attività d’impresa.

Del resto – ha contestato l’Ufficio - non vi era alcuna correlazione tra l’oggetto sociale della contribuente, operante nel settore dello smaltimento dei rifiuti, e la sponsorizzazione delle squadre di calcio.

 LA DECISIONE

La Corte di Cassazione ha ritenuto tale motivo infondato e rigettato così il ricorso incidentale dell’A.E.

L’Agenzia, confondendo le spese di sponsorizzazione delle squadre di calcio con le spese di pubblicità, sostiene che il “messaggio pubblicitario” della società, in quanto indirizzato ad un pubblico composto dagli spettatori degli eventi sportivi, sostanzialmente estraneo all’attività della contribuente di smaltimento dei rifiuti, sarebbe inidoneo a realizzare l’obiettivo dell’incremento dei ricavi.

La tesi erariale – afferma la Suprema Corte - non è in linea con la richiamata giurisprudenza che nega l’esistenza di un collegamento tra spese derivanti da un contratto di sponsorizzazione e la diretta aspettativa dell’incremento dei ricavi poiché l‘obiettivo, anche strategico, dello sponsor consiste nella crescita della propria immagine commerciale e del prestigio del marchio.

La CTR, a prescindere dall’erronea sussunzione delle spese di sponsorizzazione entro quelle di pubblicità anziché, come sarebbe stato corretto, in quelle di rappresentanza (necessitando di essere corretta sotto tale profilo la sentenza), seguendo il filo conduttore della decisione di primo grado, con accertamento di fatto, non attinto da specifica censura, ha ravvisato che le spese di sponsorizzazione delle squadre di calcio fossero “inerenti” all’attività d’impresa, e perciò deducibili, trattandosi di “(spese) idonee a valorizzare ed accrescere l’attività svolta dallo sponsor” in quanto (ibidem) “la società potrebbe essere comunque interessata a diffondere la propria immagine sul mercato - con consequenziale capacità penetrativa nello stesso - e così ad accreditarsi anche presso gli operatori economici di settore”.

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