06/03/2018
Sono ormai numerosi gli atti che l’agente della riscossione invia, quotidianamente, ai contribuenti per il tramite della posta elettronica certificata.
Ricordiamo, infatti, che a partire dal 1° giugno 2016, veniva introdotto nel nostro ordinamento l’obbligo di notificare qualsiasi atto della riscossione, destinato ad imprese individuali, società e professionisti iscritti in albi o elenchi, esclusivamente mediante posta elettronica certificata - PEC.
Obbligo, è opportuno precisarlo, venuto meno a partire dal 03.12.2016, laddove il D.L. n. 193/2016 ha reintrodotto la mera facoltà per l’agente della riscossione di ricorrere a tale tipologia di notifica, ferma restando la tradizionale modalità cartacea.
In riferimento al quadro appena delineato, risulta quanto mai doveroso sottolineare come in concomitanza con il sorgere di una simile tipologia alternativa di notifica, non sono mancati di venire alla luce nuovi ed inevitabili profili di illegittimità connessi all’utilizzo della stessa.
A voler essere concisi, si evidenzia come, difatti, l’agente della riscossione, pur essendo legittimato a notificare i provvedimenti esattoriali con lo strumento della posta elettronica certificata, non sempre nel fare ciò si attiene al preciso e rigoroso dettato normativo impostogli dal Legislatore.
Ecco perché, mano mano, diventano sempre più frequenti oramai le pronunce di Commissioni tributarie che dichiarano illegittime quelle cartelle di pagamento (così come gli altri atti della riscossione), notificate per il tramite della pec, prive degli elementi necessari a verificare la loro legittimità e, ancor di più, la loro conformità all’originale in possesso dell’ente.
A tal fine, è nostra intenzione illustrare, anche nell’ottica di meglio facilitare il lavoro di difesa del contribuente, i più recenti arresti giurisprudenziali che hanno statuito l’illegittimità di una tale forma di notifica, evidenziandone, in maniera dettagliata, le peculiarità che hanno indirizzato i diversi Collegi ad accogliere i ricorsi dei contribuenti.
CTP CATANIA – Sentenza n. 968/18, depositata il 26.01.2018
La giurisprudenza tributaria è quasi unanime nel ritenere che la notifica via pec non è valida se avviene, come nella fattispecie, tramite messaggio di posta elettronica certificata contenente il file della cartella con estensione “pdf” anziché “.p7m”. Infatti, con la notifica via PEC in formato “pdf”, non viene prodotto l’originale della cartella, ma solo una copia elettronica senza valore perché priva di attestato di conformità da parte di un pubblico ufficiale. Solo l’estensione “.p7m” del file notificato, estensione che rappresenta la cosiddetta busta crittografica contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica, può attestare la certificazione della firma.
CTP VICENZA – Sentenza n. 615/02/2017, depositata il 19.09.2017
Sulla base delle norme richiamate, questo Collegio ritiene che la notificazione per posta elettronica certificata della cartella di pagamento in formato .pdf, senza l’estensione c.d.”.p7m”, non sia valida e di conseguenza rende illegittime le cartelle impugnate, allegate alla pec, in tale formato. La certificazione della firma è, come già precedentemente evidenziato, dall’estensione “.p7m” del file notificato, che rappresenta la c.d. “busta crittografica”, che contiene al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma è la chiave per la sua verifica. In carenza e difetto di detta estensione del file, la notificazione per posta elettronica certificata delle cartelle impugnate, non è valida con illegittimità derivata delle stesse.
CTR MILANO – Sentenza n. 3700, depositata il 22.06.2016
L’eccezione preliminare di inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento di cui si discute, disattesa in primo grado e riproposta dall’appellante in questa sede di gravame, è fondata e merita accoglimento.** Nel caso di specie, l’avviso di accertamento del Comune di… risulta inviato in allegato alla mail inviata dall’Ente comunale alla ditta… in data.. . La mail in oggetto è priva dei requisiti minimi necessari a configurare una vera e propria notifica, in quanto si è in presenza di un invio dell’atto che, per le modalità concrete in cui è stato effettuato, esce completamente dallo schema legale degli atti di notificazione, configurandosi non già una mera nullità quanto piuttosto una reale inesistenza dell’attività propriamente notificatoria. In secondo luogo, nel caso in esame l’invio dell’avviso di accertamento da parte del Comune di… difetta anche degli elementi imprescindibili di una notifica, mancando il relativo avviso, la relata di notifica e risultando anche assente una qualsiasi firma digitale dell’atto da parte di un qualsiasi funzionario nominativamente individuato.
CTR LIGURIA – Sentenza n. 1745, depositata il 07.12.2017
L’esistenza dell’atto in forma di documento informatico dipende dalla contemporanea presenza di tutti gli elementi che il testo di riferimento ritenga necessari. Solo l’estensione “p7m” permette l’apposizione della firma digitale e la difformità dell’estensione non permette una sottoscrizione riconosciuta ex lege, non permette, cioè, che venga ad esistenza l’atto voluto e prescritto dal Legislatore. Valutando, pertanto, quanto apportato si rileva non la nullità della notifica ma l’inesistenza giuridica, sin dalla sua nascita, dell’atto notificato dall’agente della riscossione.
CTP ROMA – Sentenza n. 1715/2017, depositata il 26.01.2017
Alla luce delle richiamate motivazioni, stanti da una parte l’espresso disconoscimento delle stampe prodotte da Equitalia relative alle notifiche effettuate e dall’altra la mancata attestazione di conformità delle stampe stesse ai corrispondenti file originali, la notifica della menzionate cartelle n. 09720169023174847000 dell’importo di € 44.946,17, n. 09720140216522291000 dell’importo di € 36.068,61 e n. 09720140264669207000 sottese all’intimazione impugnata non può ritenersi regolamentare.
CTR NAPOLI – Sentenza n. 9464/2017, depositata il 03.11.2017
Come correttamente osservato dai giudici di primo grado, l’agente per la riscossione non ha fornito prova della conformità del documento inoltrato mediante posta elettronica certificata (PEC). Il file .pdf trasmesso costituisce una mera copia informatica (digitale) dell’atto, ma in assenza di attestazione di conformità non è possibile affermare che tale documento sia identico all’originale. Peraltro, nella vicenda in disamina, l’agente per la riscossione non ha prodotto nemmeno in giudizio una copia del documento inoltrato via PEC, di tal che resta oggettivamente incerto il contenuto dell’atto notificato. In realtà, la notifica via PEC necessita che il documento trasmesso rechi estensione .p7m: solo in tal caso si sarebbe stati di fronte a un vero e proprio documento informatico, immodificabile nel contenuto e certo, in quanto digitalmente firmato, nella provenienza. Il ravvisato difetto di notifica non può ritenersi sanato, come opina l’Ufficio nel secondo motivo d’appello, dalla successiva conoscenza del contenuto dell’atto mediante estratto di ruolo, permanendo l’interesse di parte ricorrente all’annullamento della cartella, atto foriero di effetti pregiudizievoli quale ad esempio l’interruzione di termini prescrizionali e decadenziali.
CTP REGGIO EMILIA – Sentenza n. 204.01.17, depositata il 31.07.2017
Nel caso di specie, per quanto attiene le notifiche effettuate via PEC, il file telematico della cartella di pagamento scelto dall’agente della riscossione è il “pdf”. A tal proposito rileva questo Collegio, così come sostenuto in udienza dalla difesa di parte ricorrente, che la notifica via PEC non è valida se avviene, come nella fattispecie, tramite messaggio di posta elettronica certificata contenente il file della cartella con estensione “.pdf” anziché “.p7m” atteso che non solo l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico, ma anche, per quanto attiene alla firma digitale, l’identificabilità del suo autore e conseguentemente la paternità dell’atto, è garantita solo attraverso l’estensione “.p7m” del file notificato, estensione che rappresenta la cosiddetta “busta crittografica” contenente al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica, può attestare la certificazione della firma. In difetto di dette estensione del file, la notificazione via PEC delle seguenti 12 cartelle di pagamento non è valida con annullamento derivato delle cartelle stesse.
CTR TOSCANA – Sentenza n. 346/2018, depositata il 20.02.2018
A giudizio di questa Commissione la documentazione presentata da Equitalia non risponde a quanto richiesto poiché con la notifica pec si trasmette una mera copia della cartella di pagamento che non garantisce la sua conformità all’originale, in quanto si tratta di una copia informatica priva di attestazione di conformità e di firma digitale, entrambe necessarie per ritenere, ai sensi dell’art. 22 del Codice dell’Amministrazione Digitale, la copia conforme all’originale. Va anche detto che i funzionari di Equitalia, pur essendo stati ritenuti dalla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro (n. 1674/2014) abilitati ad attestare la conformità in quanto organi indiretti della P.A., non avrebbero secondo la Corte di legittimità tale potere, tanto da evidenziare lo specifico onere dell’esattore dì depositare in giudizio l’originale dell’ingiunzione di pagamento a fronte della contestazione sul punto da parte del contribuente (cfr. Cass. 8446/20 15). Si ritiene pertanto debbano essere accolte tutte le eccezioni di parte contribuente che contesta la regolarità della notifica ricevuta a mezzo pec poiché Equitalia ha l’onere di provare la conformità dell’atto digitale trasmesso a mezzo posta elettronica certificata all’originale prodotto in giudizio, non essendo sufficiente il deposito della pec in cui è scritto che il messaggio originale è incluso in allegato specificando le modalità della sua apertura. In definitiva l’accoglimento dell’appello si giustifica nel fatto che la notifica pec non garantirebbe l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, in quanto “il gestore del sistema garantisce soltanto la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica del destinatario e prescinde da ogni possibile verifica dell’effettiva apertura e lettura del messaggio”.
Il quadro appena esposto dimostra come stia diventando pressoché unanime l’orientamento dei Giudici di merito in relazione all’annullamento degli atti notificati con lo strumento della PEC, con ciò di fatto aprendo le porte ad un vero e proprio “invito a ricorrere” ogni qualvolta, appunto, il contribuente si ritrovi a constatare che il file (atto riscossivo) notificatogli sia verosimilmente difforme dal modello legale previsto dal Legislatore.