12/06/2022
In tema di responsabilità per i debiti ereditari tributari, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, si applica la disciplina comune di cui agli artt. 752e 1295 c.c., in base alla quale gli eredi rispondono dei debiti in proporzione delle loro rispettive quote ereditarie (Cass. n. 22426/2014; Cass. n. 18451/2016).
Come regola generale nel nostro ordinamento, i debiti tributari non si estinguono con la morte del soggetto che li ha contratti.
Salvo la rinuncia all’eredità (la quale deve avvenire nei 10 anni successivi all’apertura della successione) gli eredi rispondono infatti in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del de cuius.
In tema di responsabilità per i debiti ereditari tributari, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, si applica la disciplina comune di cui agli artt. 752e 1295 c.c., in base alla quale gli eredi rispondono dei debiti in proporzione delle loro rispettive quote ereditarie (Cass. n. 22426/2014; Cass. n. 18451/2016).
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In altri termini, il debitore diventa quindi l’erede, il quale è costretto a rispondere in prima persona con il proprio patrimonio dei debiti contratti dal defunto con l’Agenzia delle Entrate Riscossione, relativamente a cartelle esattoriali non estinte.
L’Agenzia delle Entrate - Riscossione potrà infatti chiedere l’integrale pagamento di una cartella di pagamento anche ad uno solo degli eredi, il quale potrà poi rivalersi nei confronti degli altri coeredi.
Tuttavia occorre una precisazione: agli eredi non può essere richiesta alcuna somma a titolo di sanzioni.
Il principio generale in tema di sanzioni è sancito dall’art. 8, D.Lgs. 472/1997, secondo cui “l’obbligazione per il pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi”, e questo alla luce dell’espressione diretta del principio costituzionale di personalità della sanzione (Cass. n. 12754/2014; Cass. n. 15067/2008).
L’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi opera anche nelle ipotesi in cui sono dovute somme a titolo di sanzioni (raddoppiate) a causa della decadenza dalla rateazione di somme derivanti da uno degli istituti deflativi del contenzioso. Non solo, dunque, non sono trasmissibili agli eredi le sanzioni derivante dal mancato rispetto del piano di rateazione, bensì anche quelle contestate nell’originario avviso di accertamento e che sono entrate a far parte del piano di ammortamento (rispettivamente, art. 8, D. Lgs. 218/1997 e art. 48, D. Lgs. 546/1992).
Se così non fosse verrebbe a determinarsi una “disparità di trattamento tra contribuenti in funzione della scelta operata dal de cuius di accedere ad un istituto definitorio, invece di instaurare un contenzioso avverso l’atto impositivo e sanzionatorio” (C.M. 7 agosto 2015, n. 29/E).
Per scongiurare questa eventualità, è sufficiente gli eredi presentino un’istanza in autotutela da inviare sia all’Agenzia Riscossione che all’Ente titolare del credito, istanza che – tuttavia - non sospende i termini per impugnare la cartella innanzi al giudice competente.
Laddove non si ricevesse risposta nei termini, l’erede è tenuto quindi a procedere ugualmente al ricorso davanti al giudice competente, perché in caso contrario la cartella diverrebbe definitiva e il soggetto sarebbe tenuto (pur contra legem) a pagare l’intero importo.
Ad ogni modo, affinché la cartella esattoriale sia valida è necessario che la notifica all’erede venga eseguita correttamente.
A seguito della morte del debitore, la cartella deve essere notificata agli eredi, impersonalmente e collettivamente, presso l’ultimo domicilio del defunto.
Se la cartella, al contrario, viene indirizzata ancora al contribuente deceduto, la stessa potrà essere contestata al fine di sentir dichiarare la nullità del relativo procedimento notificatorio.
Trascorso un anno dal decesso del contribuente, la notifica andrà invece fatta personalmente ai singoli eredi, e quindi presso il loro indirizzo e con il rispettivo nome indicato sulla busta.
Occorre tuttavia una precisazione.
La notifica dell’avviso di accertamento nei confronti di un contribuente deceduto, effettuata agli eredi - collettivamente e impersonalmente - presso il domicilio del de cuius, è nulla ove gli eredi abbiano comunicato all’Agenzia delle entrate le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale almeno trenta giorni prima della notificazione.
Nel caso in cui gli eredi abbiano comunicato all’Agenzia delle Entrate il decesso del contribuente, la notifica della cartella di pagamento, da effettuarsi non prima di trenta giorni dalla comunicazione, andrà infatti eseguita a loro personalmente, e non all’ultimo domicilio del de cuius.
Invero, gli eredi sono tenuti comunicare all’ufficio delle imposte le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale.
Per quanto concerne la tempestività della notifica agli eredi di un debito fiscale facente capo al de cuius non si considera il momento dell’iscrizione a ruolo ma se e quando è stata inviata ai parenti la cartella di pagamento (Cass. n. 5020/2022).
Tralasciando l’ipotesi della c.d. rinuncia all’eredità, è opportuno conoscere l’esistenza di una possibilità per il soggetto di salvaguardarsi dal debito ereditario: l’accettazione con beneficio di inventario.
L’accettazione dell’eredità può essere infatti espressa o tacita, pura e semplice o con beneficio di inventario.
In quest’ultimo caso, si ha l’effetto di distinguere il patrimonio del defunto da quello dell’erede, creando una sorta di “effetto segregativo” tra i due patrimoni.
In altri termini, l’accettazione con beneficio d’inventario non determina, di per sé sola, il venir meno della responsabilità patrimoniale dell’erede per debiti (anche tributari) ma fa solo sorgere il diritto di questo a non rispondere ultra vires ereditatis, cioè al di là dei beni lasciati dal de cuius.
Ad ogni modo, l’accettazione con beneficio d’inventario comporta che l’accettante diventi erede a tutti gli effetti di legge e, quindi, anche soggetto passivo d’imposta, così di fatto divenendo soggetto pienamente legittimato a ricevere la notifica dell’avviso di accertamento.
Sicché, l’erede è chiamato a rispondere dell’imposta nel limite di quanto ad egli pervenuto dal de cuius (Cass. n. 23389/2017).
Considerate le responsabilità che ne derivano, prima di accettare l’eredità del de cuius è pertanto consigliata un’analisi della situazione debitoria del defunto, richiedendo un estratto di ruolo all’Agenzia delle Entrate Riscossione, così da poter verificare a quanto ammontano le pendenze insolute dello stesso ed eventualmente rinunciare, giustappunto, all’eredità nel caso in cui siano notevolmente eccessive (a patto che non siano decorsi dieci dalla morte).
La rinuncia all’eredità, per effetto della sua caratteristica retroattiva al momento dell’apertura della successione (art. 521 c.c.), rende il chiamato all’eredità non responsabile del debito tributario del defunto, anche qualora la rinuncia intervenga dopo che, in epoca successiva all’apertura della successione, venga notificato un atto impositivo/riscossivo (divenuto definitivo per mancata impugnazione).
La ragione di quanto appena affermato risiede nel fatto che, per regola generale, la responsabilità per i debiti ereditari (compresi quelli tributari) grava su chi, accettando l’eredità, assume la qualità di erede e non grava, dunque, sul “semplice” chiamato all’eredità (Cass. n. 24317/2020).
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